IL TRIBUNALE

    Letti  gli atti del proc. n. R.G.P. a carico di Paciullo Roberto,
  imp.  del reato p. e p. dagli articoli 594 e 635 c.p.;     Udite le
  parti;

                          Ritenuto in fatto

    Il   presente   procedimento   ha  subito  piu'  rinvii  a  causa
  dell'astensione   collettiva   dei   difensori  dalle  udienze  che
  (preceduta  da altra indetta per il mese di maggio 1999) si protrae
  ininterrottamente  dal luglio 1999 ed e' destinata a durare - salvo
  proroghe - fino al 10 marzo 2000.
    La  stato  di  agitazione,  determinato  dalla  mancata copertura
  integrale   dei   magistrati   di   questo   tribunale  e  comunque
  dall'insufficienza  dell'organico  astrattamente previsto, e' stato
  invocato  dal difensore dell'imputato reiteratamente come legittimo
  motivo di impedimento a partecipare al dibattimento e comunque come
  causa di rinvio del giudizio.
    A  seguito  di rigetto delle richieste da parte del giudice per i
  motivi  indicati  nelle  ordinanze  dibattimentali  in  atti, ed in
  particolare   per   la   palese   irragionevolezza   della   durata
  dell'astensione   proclamata  (oltre  nove  mesi,  allo  stato)  il
  difensore  ha  ribadito  la  propria volonta' di non partecipare al
  dibattimento e tutti i sostituti immediatamente reperibili nominati
  ai sensi dell'art. 97 comma 4 c.p.p. (cfr. elenco) hanno dichiarato
  anche  essi  di  aderire all'astensione rifiutandosi di svolgere la
  funzione   attribuitagli,  nonostante  l'evidente  prossimita'  del
  termine prescrizionale.
    Sulla  durata  dell'astensione,  ad  ulteriore  riprova della sua
  irragionevolezza,  si  osserva  che  con numerose delibere (cfr. ex
  plurimis la delibera del 1o luglio 1999) la commissione di garanzia
  per  l'attuazione  della  legge sullo sciopero nei servizi pubblici
  essenziali   ha   ritenuto   di   durata  irragionevole  astensioni
  deliberate  per  periodi  di  gran  lunga  inferiori  (la  delibera
  predetta  si  riferiva  ad  un  astensione  di  durata  di "appena"
  ventiquattro giorni consecutivi).
    Si  premette  che  aspetti  sanzionatori  delle  condotte  tenute
  collettivamente  dagli  appartenenti  al  foro esulano da quanto si
  rileva  nel  presente  provvedimento,  poiche' la configurazione di
  illeciti   disciplinari   o  penali  non  sposta  i  termini  della
  questione,   che   e'   relativa   esclusivamente   agli  strumenti
  processuali   da   adottare  per  consentire  la  celebrazione  del
  giudizio,  prescindendo  da  eventuali  illiceita'  ravvisabili nel
  comportamento dei difensori.
    Sotto  tale  profilo,  peraltro,  la  stessa Corte costituzionale
  nella  nota  sent.  n. 171/1996 escludeva la configurabilita' degli
  illeciti amministrativi previsti dalla legge medesima.
    La  giurisprudenza  di  questo  ufficio,  inoltre,  escludeva  la
  sussistenza  del  reato  p.  e  p.  dall'art. 340  c.p.  disponendo
  l'archiviazione  dei procedimenti iniziati in fattispecie pregresse
  ed  analoghe  (per  le  astensioni indette per i mesi di novembre e
  dicembre  1998  e direttamente riferibili all'emissione della sent.
  n. 361/1998  della  Corte  costituzionale  medesima) nelle quali la
  condotta  dei  difensori  non  si  limitava  ad  una  mera adesione
  all'astensione  ma  si  sostanziava  in  un  persistente rifiuto di
  svolgere  le  funzioni  di cui agli artt. 97 comma 4 e 486 c.p.p. a
  seguito  di  ordinanza  del  giudice che respingeva la richiesta di
  rinvio per legittimo impedimento.
    Nemmeno,  inoltre, sarebbero ravvisabili illeciti disciplinari ai
  sensi  degli  artt. 105 c.p.p. e 38, legge n. 36/1934, come si puo'
  desumere  dai  verbali  delle  sedute  del  20 luglio  1999  e  del
  21 settembre  1999  del  locale consiglio dell'ordine forense, atti
  che   sono   autorevole  elemento  interpretativo  per  individuare
  orientativamente    la    eventuale   giurisprudenza   disciplinare
  dell'organo  consiliare il quale - manifestando ampio sostegno alle
  iniziative adottate dall'associazione promotrice delle astensioni e
  denominata  assemblea  generale  degli  avvocati  di  Latina  -  ha
  mostrato   di   non  ritenere  sussistenti  profili  di  illiceita'
  disciplinare  nelle  condotte  poste  in essere dagli iscritti agli
  albi.
    Si  ribadisce,  comunque,  che la configurabilita' di illeciti di
  tipo  amministrativo,  penale  o  disciplinare,  non  incide  sulla
  questione   che   e'  relativa  solo  alla  mancanza  di  strumenti
  processuali  per  proseguire  il  giudizio ed alla successiva stasi
  procedimentale  destinata  a  protrarsi per periodi sostanzialmente
  indefiniti,  poiche'  nemo  ad  factum  cogi potest nonostante ogni
  ipotetica sanzione all'omissione perpetrata.
    Prima  di  affrontare  il  merito della questione di legittimita'
  costituzionale  delle norme impugnate, si precisa ulteriormente che
  i  comportamenti dedotti consistono nei rifiuto "a catena" da parte
  dei  difensori immediatamente reperibili nello svolgere le funzioni
  di cui all'art. 97 comma 4 c.p.p.
    Tale  circostanza  si  e'  ripetuta  con  riferimento  a  tutti i
  difensori  immediatamente  e  concretamente reperibili da parte del
  giudice  (facendo  uso di ogni diligenza) e per tutte le udienze di
  rinvio,   costringendo   sostanzialmente   l'organo   giudicante  a
  differire  di  volta  in  volta  la trattazione del giudizio per la
  materiale impossibilita' di procedervi in assenza di disponibilita'
  di  tutti  i  difensori  tenuti  a  svolgere  le  funzioni  di  cui
  all'art. 97  comma  4 c.p.p. ad adempiere l'ufficio conferitogii, a
  causa  della  loro  manifestata  e  ribadita adesione alla predetta
  astensione dalla partecipazione alle udienze.
    Tali fatti, inoltre, sono relativi praticamente a tutti i giudizi
  penali pendenti innanzi agli organi giudiziari siti nel circondario
  di  Latina  ed in particolare a tutti i processi assegnati a questo
  giudice.
    In  relazione  al  concetto  di  immediata  reperibilita'  di cui
  all'art. 97  comma  4  c.p.p.,  e'  evidente  che il legislatore ha
  voluto  imporre  l'altrettanto  immediata prosecuzione dell'udienza
  nei casi in cui occorreva la presenza di un difensore e il titolare
  dell'ufficio era assente.
    L'immediata  reperibilita',  percio',  svincola  il  giudice  dai
  criteri  di  scelta,  ulteriormente  restrittivi rispetto alla sola
  iscrizione  ad  un albo degli avvocati, previsti dall'art. 29 disp.
  att.  c.p.p.  poiche'  la  scelta  va ovviamente estesa non solo ai
  reperibili   di  turno  indicati  negli  elenchi  e  nelle  tabelle
  predisposte,   ma   in   tutti   i   difensori   concretamente   ed
  effettivamente reperibili da parte dell'autorita'.
    Il  requisito  dell'immediatezza va interpretato nel senso che le
  ricerche,  dovendo  consentire  la  prosecuzione  dell'udienza, non
  possono essere estese a tutti gli iscritti agli albi degli avvocati
  esercenti  la professione, perche' la scelta deve essere effettuata
  al  momento  tra  i  presenti  (o i raggiungibili con comunicazione
  mediante  cancelleria che possano prontamente essere presenti), non
  potendosi  ritenere che il giudice sia tenuto ad interpellare tutti
  gli avvocati astrattamente nominabili prima di rilevare la concreta
  impossibilita' di immediata prosecuzione dell'udienza.
    Si  specifica, inoltre, che tutti gli iscritti ad albi diversi da
  quello  del  locale  ordine  forense  di volta in volta nominati ai
  sensi  dell'art. 97 comma 4 c.p.p. hanno aderito "per solidarieta'"
  all'astensione,   vanificando   in  tal  modo  la  possibilita'  di
  ricorrere   ad   apporti   forensi   "esterni"   per  proseguire  i
  procedimenti.

                       Considerato in diritto

    La  situazione  venutasi  a  creare  e' causata dalla mancanza di
  norme  che  disciplinino  le procedure e misure consequenziali alla
  violazione  dell'art. 2  legge  n. 146/1990  come  modificato dalla
  sentenza  n. 171/1996  della Corte costituzionale, relativamente ai
  casi  in cui le modalita' attuative dell'astensione, per l'assoluta
  generalita'  delle adesioni e la mancanza di durata ragionevole del
  periodo  di  durata, rendano di fatto impossibile l'esercizio della
  giurisdizione  anche  qualora  il  giudice respinga la richiesta di
  rinvio,  nomini  un  sostituto  al  difensore astenutosi e disponga
  procedersi  oltre  senza  che  cio'  si verifichi per la successiva
  astensione "a catena" di tutti i difensori designati.
    Nella  nota  pronuncia citata la Corte costituzionale ritenne che
  l'astensione  degli  avvocati  da  ogni  attivita' defensionale non
  rientrava  compiutamente,  per  la  sua  morfologia, nei meccanismi
  procedurali  previsti dagli artt. 8, 9, 10, 12, 13 e 14 della legge
  n. 146,  e  lascio'  al  legislatore il compito di definire in modo
  organico  le misure atte a realizzare l'equilibrata tutela dei beni
  coinvolti,  essendole preclusa l'individuazione nel dettaglio delle
  soluzioni.
    Tale  decisione,  peraltro, evidenziava di per se' reiteratamente
  la  necessita'  di  impedire  casi  quali quello oggi sottoposto al
  vaglio del giudice delle leggi, ossia la assoluta impossibilita' di
  trattare  il  dibattimento  per  periodi di tempo di durata tale da
  risultare  ictu  oculi  irragionevoli,  sia  se  raffrontati  con i
  periodi di astensione dalle prestazioni lavorative in altri settori
  dei  servizi  pubblici  essenziali (quali la sanita', la protezione
  civile,  l'ordine  e la sicurezza e i trasporti), sia se paragonati
  alla  durata  media  di  astensioni dall'attivita' lavorativa nello
  specifico  settore  della  giustizia,  come  per  gli  scioperi del
  personale  amministrativo  giudiziario (che non risulta abbiano mai
  avuto durate eccedenti la settimana).
    Non  e'  necessario  profondersi  in particolari osservazioni per
  giustificare  l'asserzione  che la paralisi determinata costituisce
  una  forma sostanziale di diniego di giustizia e aggrava i problemi
  che  vorrebbe  risolvere (ossia l'eccessiva durata dei procedimenti
  per  la  mancanza dei magistrati asseritamente reputati necessari),
  divenendo  essa  stessa  ulteriore motivo di allungamento dei tempi
  ordinari  alla  trattazione  dei procedimenti, perche' nel presente
  giudizio  tutti  i  rinvii  del dibattimento sono stati determinati
  esclusivamente dall'astensione dei difensori dalle udienze.
    La  causa determinante del blocco dell'attivita' giudiziaria, per
  le modalita' attuative dell'astensione, va individuata nell'obbligo
  per  il  giudice di trattare il dibattimento, anche nei casi in cui
  sia materialmente impossibile di avvalersi di un iscritto agli albi
  per  l'adesione di tutti i soggetti reperiti (anche con diligenti e
  prolungate  ricerche),  inclusi  gli iscritti ad albi professionali
  diversi   da   quello  locale  che  aderiscono  all'astensione  per
  solidarieta'   e   non   prendono   parte   comunque  all'attivita'
  processuale.
    Il problema si pone in maniera ancora piu' rilevante se non possa
  procedersi   nonostante   l'espressa  richiesta  dell'imputato  per
  indisponibilita'  degli  stessi nominati a svolgere - comunque - le
  funzioni conferite.
    Per   i   predetti   motivi   la  rilevanza  della  questione  di
  legittimita'  costituzionale  delle  norme  che  si indicheranno e'
  evidente,   non   potendosi  procedere  per  un  periodo  di  tempo
  potenzialmente  illimitato  al  giudizio  in  assenza di difensore,
  poiche' l'astensione e' stata piu' volte prorogata (il 18 settembre
  ed  il  27 novembre  1999) ed e' suscettibile di ulteriori proroghe
  legate  essenzialmente  allo  stato dell'organico dei magistrati di
  questo tribunale, reputato comunque attualmente insufficiente dagli
  organi che hanno indetto l'astensione, con la conseguenza che anche
  provvedimenti  di totale copertura della pianta organica potrebbero
  essere   non   ritenuti   idonei   per  revocare  o  non  prorogare
  l'agitazione proclamata.
    La  rilevanza  della  questione  va ribadita con riferimento alla
  materiale  ed  assoluta  impossibilita'  di  trattare  il  giudizio
  nonostante  l'applicazione  delle norme che prevedono la nomina del
  sostituto del difensore astenutosi dal partecipare all'udienza, per
  la  totale  adesione  di  tutti  gli interpellati reperiti con ogni
  possibile  sforzo organizzativo, nonche' per il reiterarsi di detta
  situazione   con  riferimento  a  tutte  le  udienze  trattate  (la
  circostanza  e'  comune praticamente a tutti gli altri procedimenti
  pendenti  innanzi  all'ufficio  sui quali si provvede separatamente
  per  non trasferire l'integrale carico di lavoro del tribunale alla
  Corte costituzionale).
    Il  primo  profilo  dedotto  e'  l'irragionevolezza  delle  norme
  impugnate per violazione dell'art. 3 Cost.
    Il  disposto  degli  artt. 97  comma  4, 105 comma 5 e 484 c.p.p.
  presenta sul punto profili di illegittimita' costituzionale che non
  sono  manifestamente  infondati  in relazione alla parte in cui non
  consentono  di  procedere  in assenza del difensore nei casi in cui
  tutti   gli   iscritti  agli  albi  degli  avvocati  immediatamente
  reperibili  rifiutino senza legittimo motivo di assumere e svolgere
  le  funzioni  di  sostituto  del  difensore  che  non  partecipi al
  dibattimento in assenza dei presupposti di cui all'art. 486 comma 5
  c.p.p.
    Non  sono  ostative all'accoglimento della questione osservazioni
  relative  all'impossibilita' dell'autodifesa nel processo penale in
  base  all'art. 24 Cost., poiche' la nota giurisprudenza della Corte
  costituzionale  che ha sempre escluso il ricorso all'autodifesa non
  e' relativa a ipotesi quali quella in esame, essendo principalmente
  originata   da   particolari  vicende  sorte  in  contesti  storici
  differenti  e  riguardando  in  massima  parte  procedimenti che si
  svolgevano  sotto  la  vigenza  del  precedente codice di procedura
  penale.
    L'interpretazione  delle  norme, infatti, non e' immutabile ma e'
  determinata  dal  contesto  storico  ed  istituzionale nel quale si
  opera  fermi  restando i principi assoluti e fondamentali di tutela
  dei diritti umani.
    Se si esamina l'attuale sistema processuale penale e l'insieme di
  provvedimenti   legislativi   in   vigore  e  di  prossima  vigenza
  raffrontandolo  con  il  complesso  delle  norme processuali penali
  internazionali o con quelle interne di altri Stati si osserva, come
  autorevole  dottrina  fa rilevare, che l'impossibilita' di trattare
  il  dibattimento in assenza del difensore per collettiva astensione
  di  tutti  i  designati  all'ufficio  di  sostituto  e'  un  unicum
  dell'ordinamento italiano.
    Tale  distorsione  deriva  in  primo  luogo dall'iperfetazione di
  garanzie  processuali  a  discapito  dell'efficienza  del giudizio,
  perche'  -  nell'adottare  il  sistema processuale accusatorio - il
  legislatore invece di sostituire le garanzie difensive previste nel
  sistema  processuale inquisitorio con altre diverse e piu' adeguate
  al  nuovo  ruolo  delle  parti  ha mantenuto le precedenti garanzie
  processuali  sommandole  alle ulteriori e nuove garanzie derivanti,
  di   per   se',   da   un   sistema  che  riconosce  una  posizione
  dibattimentale delle parti assolutamente paritaria.
    Se  si  considera,  invece,  che  un  organo  giurisdizionale  di
  competenza mondiale come la costituenda Corte penale internazionale
  per  i  crimini  contro l'umanita' (cfr. legge n. 232/1999), dotata
  tra   l'altro   di   giurisdizione  diretta  anche  per  reati  che
  spetterebbero   al   giudice   penale   ordinario   nazionale,  nel
  disciplinare  con il proprio statuto il giudizio di merito di primo
  grado  si  e'  limitata  a  prevedere  la mera facoltativita' della
  presenza   del   difensore,  si  comprende  che  il  riconoscimento
  universale   del   diritto   della   difesa   significa   garantire
  all'imputato  la  facolta' effettiva di difendersi - direttamente o
  con  l'assistenza di un tecnico del diritto - piuttosto che imporre
  l'obbligo  di difendersi avvalendosi di simulacri processuali quali
  quello del difensore di ufficio.
    Che  l'interpretazione  dell'obbligo della presenza del difensore
  in  dibattimento  renda  un omaggio meramente formale a un asserito
  precetto  contenuto  implicitamente e asseritamente (si sottolinea)
  nella  Costituzione,  e'  evidente  dall'atteggiamento dello stesso
  legislatore  delegante  che  all'art. 2  dir.  105 l. del c.p.p. ha
  prescritto  al  legislatore  delegato  all'emissione  del codice di
  procedura penale di disciplinare l'istituto della difesa di ufficio
  in  base  a  criteri  che  ne garantissero l'effettivita', con cio'
  evidenziando  la  natura  meramente  formale  che  l'istituto aveva
  assunto  (a  Costituzione  repubblicana  vigente dal oltre quaranta
  anni).
    Cio'  che  la  legge,  invece,  deve  riconoscere  e' l'effettiva
  possibilita'  di difendersi in giudizio, il che non necessariamente
  presuppone  che  l'unico  strumento sia l'obbligatoria presenza del
  difensore  (anche  nel  nostro  ordinamento, peraltro, nei delicati
  procedimenti  de libertate come quello di cui all'art. 309 c.p.p. e
  nello  stesso  dibattimento  pubblico davanti alla Corte suprema di
  cassazione la presenza del difensore e' facoltativa).
    Vanno evitati, invece, i casi di vero e proprio abuso del diritto
  (gia'   espressamente  menzionato  dall'art. 17  della  Convenzione
  europea  dei  diritti  dell'uomo,  ratificata con la legge 4 agosto
  1955,   n. 848   e  ritenuta  pacificamente  "costituzionalizzata",
  nonche'  implicitamente  riconosciuto  come  illecito  dalla stessa
  Corte  costituzionale  con  la  sentenza  22 ottobre 1996, n. 353),
  quali  quelli  in cui l'ordine forense interpreti gli artt. 18 e 21
  Cost.  come  contenenti  il diritto di dedicarsi ad una attivita' -
  astensione  collettiva  dalle  udienze  -  con  modalita'  tali  da
  comportare  la  sospensione  di  altri  diritti  riconosciuti dalla
  Costituzione  o  una limitazione di tali diritti maggiore di quella
  prevista.
    Non  e'  ragionevole,  percio',  che  il  legislatore  da un lato
  imponga  la presenza del difensore in dibattimento e dall'altro non
  preveda  alcuno strumento normativo processuale e ordinamentale per
  risolvere   i   casi  in  cui  tutti  i  legittimati  materialmente
  reperibili  per lo svolgimento dell'attivita' difensiva necessitata
  si  rifiutino  di svolgere l'ufficio difensivo conferito, adducendo
  di  aderire  ad  un'astensione  collettiva  dalle  udienze  che  si
  sostanzia in una forma di abuso del diritto.
    Prima  di  esaminare  specificamente gli aspetti di non manifesta
  infondatezza  della  questione  si osserva come il dibattimento nel
  processo  accusatorio  non  si  fonda solo sul principio di parita'
  delle  parti  ma  anche  su quello di responsabilita' per le scelte
  compiute,  essendo  rimessa la stessa scelta del rito alla volonta'
  delle  parti  e (a decorrere dalla prossima entrata in vigore della
  riforma  del  rito  processuale innanzi al giudice monocratico) con
  riferimento al giudizio abbreviato alla volonta' del solo imputato.
    Il  processo, peraltro, conosce ipotesi di giudizi di merito dove
  la  presenza  del difensore e' meramente facoltativa, come nel caso
  dell'art. 447  c.p.p. nel quale il giudice valuta le prove e decide
  sulla  responsabilita' dell'imputato anche in assenza del difensore
  che non compaia o si rifiuti di prendere parte all'udienza.
    L'impostazione  ibrida  del  codice  in  tal  caso  emerge  ancor
  maggiormente  se  si  considera che nel giudizio di merito di primo
  grado  di cui all'art. 447 c.p.p. l'udienza si svolge in assenza di
  pubblico   (e  quindi  con  minori  garanzie),  mentre  il  caso  -
  sostanzialmente   identico   -   nel   quale   le   parti  chiedano
  l'applicazione  della  pena  in dibattimento ai sensi dell'art. 446
  comma  1  c.p.p. prevede l'obbligatoria presenza del difensore, con
  impossibilita'  di  procedere a giudizio in per ipotesi come quella
  di   cui  si  discute  di  astensione  collettiva  a  "catena"  dei
  difensori,  anche  se  di  per  se'  l'udienza  pubblica garantisce
  maggiormente l'imputato.
    L'irragionevolezza dell'obbligatoria presenza in dibattimento del
  difensore  dell'imputato  emerge ancor maggiormente se si considera
  che  anche  nelle  ipotesi  sopra  richiamate  dei  procedimenti de
  libertate e dell'udienza dibattimentale pubblica innanzi alla Corte
  suprema di cassazione la presenza del difensore e' facoltativa.
    E'  evidente  che il dibattimento di primo grado ha funzioni solo
  parzialmente  comparabili  con  i  predetti  procedimenti  ma  cio'
  dimostra   soltanto   la   maggiore   irrazionalita'  delle  scelte
  legislativa,  perche' i procedimenti de libertate ed il giudizio di
  legittimita'  hanno  frequentemente maggiore rilevanza del giudizio
  di  merito,  poiche'  nei  primi  si discute con immediatezza della
  liberta'  dell'imputato  e  nel  secondo  si  adotta  la  decisione
  definitiva sul processo.
    Ulteriore   profilo   di  illegittimita'  delle  disposizioni  va
  ravvisata  nel contrasto delle norme impugnate con gli artt. 10, 76
  e  77 Cost.. in relazione al mancato adeguamento degli istituti del
  codice  ai  principi  internazionali  in materia di giusto processo
  come  enucleati  dagli  artt. 6  e  17 della menzionata Convenzione
  europea  dei  diritti dell'uomo, richiamati anche dalla prima parte
  dell'art. 21 del c.p.p.
    Impedire  la  celebrazione  del  dibattimento anche in casi quali
  quello in esame significa non soltanto non garantire la ragionevole
  durata  del  processo,  ma  sancire  la  possibilita' istituzionale
  dell'abuso   del  diritto  di  associazione  e  manifestazione  del
  pensiero  attuata  mediante  le astensioni collettive "a catena" in
  violazione  di  disposizioni  di  pari  rango  costituzionale quali
  quelle  che  attraverso l'esercizio della giurisdizione tutelano la
  sicurezza e l'ordine della civile convivenza.
    Una  diversa conclusione potrebbe condurre a ritenere che qualora
  l'intero  ceto  forense, in violazione dei provvedimenti giudiziali
  che  impongono  la  partecipazione  al  giudizio,  si rifiutasse di
  partecipare  alle  udienze  dibattimentali per cio' solo queste non
  dovrebbero  avere  luogo,  consentendosi  in  pratica  un'eversione
  dell'ordinamento  costituzionale  tanto piu' grave non solo perche'
  priva  di  sanzioni  di  diritto sostanziale ma anche - circostanza
  ancor piu' grave - di strumenti processuali per porvi rimedio.
    Lo   stesso  legislatore,  peraltro,  e'  ben  consapevole  della
  possibilita'  di  un  uso  strumentale  degli  istituti processuali
  poiche'  all'art. 182  vieta  di  dedurre  le  nullita' di cui agli
  artt. 180  e  181  alle  parti che vi hanno dato o hanno concorso a
  darvi causa.
    La  norma non si riferisce all'ultima parte dell'art. 179 c.p.p.,
  che sanziona con nullita' assoluta e insanabile la violazione delle
  norme  relative  all'assistenza del difensore nei casi in cui ne e'
  obbligatoria la presenza, proprio sulla base di una interpretazione
  non  condivisibile  dell'art. 24  Cost. che - come chiarito - vuole
  solo  che  all'imputato  sia  garantita l'effettiva possibilita' di
  difendersi ma non impone la obbligatoria presenza del difensore.
    Cio'  e'  tanto piu' vero per il dibattimento che si sostanzia in
  un  udienza  pubblica  nella  quale  l'imputato ha piena conoscenza
  dell'accusa rivoltagli e degli atti processuali compiuti ed ha egli
  stesso la possibilita' di non comparire restando contumace.
    Il  senso  dell'obbligatoria  presenza del difensore nel processo
  inquisitorio,  infatti,  era quello di assicurare un formale limite
  agli  esorbitanti  poteri dell'accusa garantendo che fosse comunque
  partecipe  degli  atti  il  difensore munito, a ben vedere, piu' di
  mere facolta' oratorie che di effettivi poteri processuali.
    Orbene,  una  volta  che nel giudizio dibattimentale e' garantita
  l'assoluta  parita'  delle  parti nei rispettivi ruoli e il diritto
  alla  prova  e'  pieno  anche  per la difesa, non possono ritenersi
  conformi  a  giustizia  le  norme  che,  sbilanciando tale assetto,
  consentano   il   differimento   sine   die  del  dibattimento  per
  l'impossibilita'  di reperire i difensori disponibili ad esercitare
  i  doveri e i poteri che la stessa legge gli impone anche quando il
  rifiuto  di  partecipare al giudizio derivi dall'abuso indicato dei
  diritti  di  associazione e manifestazione del pensiero e passi per
  la  violazione dell'ordinanza del giudice che respinga la richiesta
  di  cui  all'art. 486 comma 5 c.p.p. e nomini il sostituto ai sensi
  dell'art. 97 comma 4 c.p.c.
    Tale  situazione,  consacrata  dalle  norme delle quali si rileva
  l'incostituzionalita',  raggiunge  l'apice  del paradosso e produce
  effetti umilianti per l'ordinamento di uno Stato democratico quando
  provoca  di  per se' o concorre in maniera rilevante a provocare la
  prescrizione del reato.
    In   tale   caso   la   collettiva  astensione  in  elusione  dei
  provvedimenti  giurisdizionali  provoca il sorprendente risultato -
  nonostante   i   proclamati   intenti  di  giustizia  e  di  azione
  nell'interesse  della  collettivita'  - di punire ulteriormente gli
  imputati  riconosciuti  innocenti  all'esito  del  processo  per la
  maggiore  durata  di quest'ultimo (che come ricorda autorevolissima
  dottrina  spesso  e'  di  per  se'  una sanzione) e di premiare gli
  imputati  riconosciuti  colpevoli  nei cui confronti altro non puo'
  farsi se non dichiarare estinto il reato per prescrizione.
    Non  puo'  ritenersi  conforme  agli  artt. 10,  76  e  77  della
  Costituzione  in  relazione  ai  piu' volte menzionati artt. 6 e 17
  della  convenzione  europea  dei  diritti  dell'uomo  il  combinato
  disposto  degli artt. 97 comma 4, 105 comma 5 e 484 comma 2 c.p.p.,
  nella  parte  in  cui  prevedono  l'impossibilita' di proseguire il
  dibattimento  in  assenza  del  difensore  anche quando cio' derivi
  dalla   violazione   collettiva   dei   difensori   reperibili  del
  provvedimento  con  il  quale  il  giudice  li nomina sostituti del
  difensore   non   illegittimamente   impedito   a   partecipare  al
  dibattimento, abusando in tal modo dei diritti di associazione e di
  manifestazione del pensiero.
    Ulteriori   profili   di   incostituzionalita'   derivano   dalla
  violazione  degli  artt. 101  e 112 della Costituzione poiche' tale
  condotta,   consentita  dalle  norme  impugnate  contrasta  con  il
  principio  di  soggezione  del  giudice  alla sola legge, in quanto
  rimette    l'esercizio    della    giurisdizione   e   l'esecuzione
  dell'ordinanza  dibattimentale  alla mera volonta' collettiva degli
  aderenti   all'astensione   ed  impedisce  l'esercizio  dell'azione
  penale,  provocando una stasi processuale virtualmente perenne e la
  cui   rimozione   e'   rimessa  esclusivamente  alla  volonta'  dei
  partecipanti all'astensione.
    Sebbene sia indubbia la rilevanza che la Costituzione attribuisce
  agli  avvocati,  poiche'  tra l'altro sono gli unici professionisti
  espressamente nominati come astrattamente qualificati per rivestire
  una  molteplicita' di incarichi istituzionali (membro del consiglio
  superiore  della  magistratura o della Corte di cassazione ad es.),
  non  puo'  ritenersi  che l'importanza del ruolo rivestito renda di
  per  se'  processualmente  possibile  e  priva  di conseguenze ogni
  condotta.
    Proprio  l'attenzione  particolare  del  costituente  -  invece -
  dovrebbe  spingere  gli  interessati  a  svolgere  i propri compiti
  professionali  con  particolare  impegno  e  sempre  nel  superiore
  interesse  della  giustizia,  fermo  restando  l'adempimento  degli
  specifici vincoli derivanti dal rapporto con l'assistito.
    La    condotta   tenuta   collettivamente   in   violazione   dei
  provvedimenti  giurisdizionali  non  si  pone,  pero',  soltanto in
  contrasto  con  tali  specifici  e  superiori  doveri  ma impedisce
  direttamente  l'esercizio dei poteri giurisdizionali dell'autorita'
  giudiziaria  requirente,  alla  quale  e'  impedito di procedere, e
  giudicante,  alla  quale  e'  impedito di decidere, con un ostacolo
  alla giustizia che non trova riscontro nell'operato di alcuna altra
  categoria    professionale    e   che   e'   significativamente   e
  deliberatamente  ignorato  dal legislatore ordinario, nonostante la
  notorieta'  pluridecennale  del  problema  e  i pressanti inviti di
  intervento rivolti dalla stessa Corte costituzionale che, come gia'
  affermato, e' rimasta reiteratamente inascoltata.
    Non  e'  conforme  agli artt. 101 e 112 Cost., pertanto, la legge
  che   consente  condotte  tali  da  rimettere  ad  esse  stesse  la
  possibilita'  di  determinare  l'operato dell'autorita' giudiziaria
  provocando  stasi  processuali  che  non  possono trovare soluzioni
  diverse   dallo   spontaneo   recesso   di  quanti  vi  hanno  dato
  volontariamente causa.
    Conclusivamente,    nel    ribadire   i   rilevati   profili   di
  incostituzionalita',   si  precisa  ulteriormente  che  la  dedotta
  illegittimita' costituzionale e' relativa solo ed esclusivamente ai
  casi  in  cui  sia  impossibile l'utile applicazione degli artt. 97
  comma  4  e  484  c.p.p.  per  collettiva,  concorde  e  volontaria
  decisione   di  tutti  i  designati  immediatamente  reperibili  di
  assumere e svolgere l'ufficio conferito adducendo quale impedimento
  -   ritenuto   di   volta   in   volta   illegittimo  -  l'adesione
  all'astensione dalle udienze.